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Same-sex marriage in Germania: pubblicati i dati del DeStasis

Attualità - Nicola Deleonardis - 22 Luglio 2022

 

Il DeStatis, ufficio nazionale di statistica tedesco, ha recentemente pubblicato i dati relativi alla diffusione del matrimonio tra persone dello stesso sesso in Germania, dopo l’approvazione nel 2017 della legge che sancisce il matrimonio egualitario.

I dati forniti dall’Ufficio di statistica hanno rilevato che tra il 2017 e il 2021 sono convolate a nozze 36.800 coppie dello stesso sesso, con una maggior incidenza dei matrimoni tra donne soprattutto nel 2021 (dal 45% del 2017 al 53% del 2021).

L’Ufficio registra, inoltre, un calo dei same-sex marriages nel biennio 2020-2021, condizionato evidentemente dalla pandemia da Covid-19.

Il matrimonio egualitario è stato approvato dal Bundestag a seguito di un accordo tra diverse parti politiche di centro-sinistra, nonostante le reticenze della ormai ex cancelliera Angela Merkel, dopo il riconoscimento nel 2001 delle unioni civili. La Germania si è così allineata ai paesi dell’Europa occidentale che prevedono nel proprio ordinamento il matrimonio tra persone dello stesso sesso: la Francia e la Gran Bretagna, per esempio, hanno regolato il matrimonio egualitario nel 2013, percorrendo così la strada già intrapresa da Spagna e Olanda. Recentemente, la Corte costituzionale della Slovenia ha dichiarato discriminatorie le norme finora vigenti che permettevano solo il matrimonio eterosessuale, di fatto legalizzando il matrimonio egualitario e l’adozione di figli da parte di coppie omosessuali.

Il riconoscimento della parità di trattamento tra tutti i cittadini dell’Unione Europea è uno snodo essenziale se si vogliono effettivamente garantire i principi di dignità, libertà e uguaglianza nell’eurozona, espressamente previsti dalla Carta dei diritti fondamentali (v., tra i tanti, artt. 7 e 21). Occorre sottolineare che la Strategia per l’uguaglianza LGBTIQ 2020-2025 dell’Unione Europea mette a punto una serie di politiche e obiettivi volti a combattere le discriminazioni nei confronti delle persone LGBTIQ+ e a proteggerne l’incolumità, al fine di approdare ad una società inclusiva. Tuttavia, tra le competenze dell’UE non c’è il diritto di famiglia, di competenza di ogni Stato membro.  Come previsto dall’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali, “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.

La legislazione dell’UE in materia di diritto di famiglia si applica, infatti, nei casi transfrontalieri al fine di agevolare il riconoscimento reciproco, da parte degli Stati membri, delle sentenze di divorzio, delle responsabilità e dei diritti genitoriali (compresi l’affidamento dei figli) o dei matrimoni, delle unioni registrate e delle successioni (per le coppie e i figli).

Spetta, dunque, al legislatore nazionale intervenire affinché la possibilità di congiungersi in matrimonio sia garantita a qualsiasi coppia, a prescindere dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere dei partner.

L’ordinamento italiano è l’unico dell’Europa occidentale, accanto alla quasi totalità dei paesi dell’Europa orientale, che non ha ancora riconosciuto il diritto per le persone LGBTIQ+ di contrarre matrimonio; negozio giuridico diverso dalle unioni civili regolate dalla l. n. 76/2016. L’assenza di tale riconoscimento si riverbera non solo sulla qualità della vita dei cittadini e delle cittadine LGBTIQ+, ma anche sui loro figli e figlie, ai quali è stato riconosciuto il diritto ad avere entrambe le figure genitoriali, come è stato recentemente ribadito dalla Corte costituzionale.

Il ritardo delle istituzioni nel legiferare in materia di matrimonio egualitario collima con le opinioni di quella fetta della società (ormai sempre più minoritaria) che stenta a far valere il principio di uguaglianza costituzionalmente garantito (v. art. 3), in sintonia con la gerarchia cattolica che fortemente osteggia il vincolo matrimoniale tra persone dello stesso sesso. E ciò, nonostante il legame giuridico del matrimonio non debba necessariamente celebrarsi nei luoghi di culto (v. artt. 82-83 c.c.).

 

 

 

 

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