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Disoccupati e inoccupati: nessuna differenza nell’accesso alle prestazioni sanitarie

Attualità - Carmela Garofalo - 24 Ottobre 2022

 

Il Consiglio di Stato con parere del 13 luglio 2022 ha risposto ad alcune richieste di chiarimenti inviate dal Ministero della Salute in merito all’equiparazione tra “disoccupati” e “inoccupati” per l’accesso all’esenzione del pagamento delle spese sanitarie, individuata con il codice E02 per il costo dei farmaci e delle prestazioni specialistiche, considerato che l’art. 8, co.16, l. n. 537/1993 si rivolge unicamente ai primi e non anche ai secondi.

La conclusione a cui giungono i giudici amministrativi, dopo un lungo confronto con i Ministeri coinvolti, è che nell’attuale quadro normativo non v’è alcuna distinzione tra le due categorie ai fini del godimento delle prestazioni sociali.

Per riepilogare brevemente i termini della questione, si deve partire dalla circostanza che se dal punto di vista previdenziale si può registrare una garanzia sperequata a favore degli insiders, divenuti disoccupati, a detrimento degli outsiders, vale a dire degli inoccupati, per i quali non è apprestata alcuna tutela economica come conseguenza della struttura assicurativa delle provvidenze, per quanto riguarda le prestazioni di carattere sociale non si giustifica una simile disparità di trattamento in quanto gli inoccupati, a tutti gli effetti, sono considerati dal nostro ordinamento “disoccupati” nel momento in cui, “privi di lavoro”, si rendono disponibili a ricercarne uno nuovo (rectius il primo).

Fino a qualche tempo fa, però, si registrava a livello terminologico uno iato tra disoccupato e inoccupato cristallizzato nell’art. 1, co.2, d.lgs. n. 181/2000, che ha ridefinito lo stato di disoccupazione non più coincidente, come nel passato, con l’iscrizione del soggetto nelle liste di collocamento, ma con la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, in un’ottica di incentivazione e responsabilizzazione dei lavoratori in cerca di occupazione e di riduzione delle politiche meramente assistenzialistiche.

La riforma del 2000 ha, infatti, abbandonato l’impostazione passiva per la quale veniva considerata disoccupata la persona semplicemente priva di occupazione, iscritta nelle liste di collocamento in attesa del suo avviamento ed onerata unicamente dell’obbligo di confermare, a determinate scadenze, la permanenza del suo stato di disoccupazione nonché di rispondere alla convocazione dell’ufficio.

Nella norma di apertura, il d.lgs. n.181/2000 ha enunciato tra le proprie finalità quella di stabilire “i principi per l’individuazione dei soggetti potenziali destinatari di misure di promozione all’inserimento nel mercato del lavoro…”, selezionando poi, attraverso la loro definizione, quattro categorie di persone svantaggiate destinatarie delle misure, e cioè i giovani; i disoccupati e gli inoccupati di lunga durata; le donne in reinserimento lavorativo.

A ben vedere alla nozione di “disoccupato o in cerca di prima occupazione”, che dava diritto all’iscrizione nella 1^ classe delle liste di collocamento , il d.lgs. n. 181/2000, come modificato dal d.lgs. n. 297/2002, ha sostituito quella di “privo di lavoro” immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti, distinguendo “ad ogni effetto” i “disoccupati di lunga durata” e cioè, “coloro che, dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un’attività di lavoro autonomo, siano alla ricerca di una nuova occupazione da più di dodici mesi o da più di sei mesi se giovani”, dagli “inoccupati di lunga durata” definiti come “coloro che, senza aver precedentemente svolto un’attività lavorativa, siano alla ricerca di un’occupazione da più di dodici mesi o da più di sei mesi se giovani” .

Questa definizione di “stato di disoccupazione” ha consentito perciò ai servizi pubblici per l’impiego di classificare come disoccupati soltanto i lavoratori effettivamente interessati a entrare nel mercato del lavoro e di apprestare in loro favore un minimo di servizi finalizzati a promuovere in varia guisa la loro occupazione (LEP). Il sistema dei servizi per l’impiego è stato costruito in maniera tale che l’inserimento e la permanenza nel circuito disoccupazionale (totale o parziale) è considerato “a termine”, tollerandosi la presenza del soggetto solo se questi dimostra, attraverso un comportamento proattivo, di voler uscire il più velocemente possibile dalla propria condizione di soggetto inattivo e di voler rifiutare tale stigma.

L’opera definitoria del legislatore del 2000 ha, però, dato fiato a interpretazioni strettamente letterali delle tante normative che subordinano l’erogazione di prestazioni sociali (esenzione dal ticket sanitario, aiuti per la casa, pagamento di utenze, reddito minimo di inserimento) al possesso da parte del beneficiario dello stato di disoccupato, finendo per circoscrivere il loro ambito di applicazione solo a questa categoria di soggetti e non anche agli inoccupati.

Si è delineata perciò una nozione di disoccupazione presa in considerazione dalle amministrazioni pubbliche, diversa da quella definita dalla normativa in materia di lavoro.

L’impasse terminologico determinato dal d.lgs. n. 181/2000 è venuto meno con la sua abrogazione ad opera dell’art. 34, lett. e), d.lgs. n. 150/2015.  L’art. 19 di tale decreto ridefinisce la nozione di “disoccupato” intendendo per tale il soggetto privo di impiego che dichiara, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui al successivo art. 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il Centro per l’impiego.

Pertanto le componenti costitutive dello stato di disoccupazione, richieste dal decreto, sono due: una di carattere soggettivo, l’essere privi di impiego, e l’altra di carattere oggettivo, dichiarare la propria immediata disponibilità (DID) al lavoro ovvero alla partecipazione a misure di politica attiva del lavoro.

La novità è da rintracciarsi nell’assenza all’interno della nuova definizione della distinzione tra chi abbia già avuto un lavoro e lo abbia perso e chi non lo abbia mai avuto. Non vengono infatti riproposte le differenziazioni di cui all’art. 1, co.2, d.lgs. n. 181/2000 apparendo subito evidente la scelta del legislatore di unificare la nozione di “disoccupato”.

Pertanto sotto il profilo soggettivo, la locuzione “soggetti privi di impiego” introdotta nel comma 1 dell’art. 19 dall’art. 4, co. 1, lett. i), d.lgs. n. 185/2016 (nella versione originaria, la norma faceva riferimento ai “lavoratori”) ha eliminato ogni dubbio circa l’inclusione tra i destinatari dei servizi per l’impiego e delle misure di politica attiva per il lavoro non solo di chi ha perso il lavoro (disoccupato), ma anche di chi non ha mai lavorato (inoccupato).

Ed infatti il successivo comma 2 ha cura di precisare che tale definizione sostituisce e supera quella prevista dall’abrogato art. 1, co.2, lett. c) d.lgs. n. 181/2000.

Questa soluzione interpretativa, ancor prima di essere adottata dal Consiglio di Stato nel recente parere del 2022, è stata condivisa sia dalla giurisprudenza (Corte di Appello di Milano sentenza n. 1626/2018, Trib. di Roma sentenza n.17/2/17; Tribunale di Bari sentenza del 7/2/2017) sia dalla prassi amministrativa. Con riferimento a quest’ultima con la circolare MLPS n. 5090/2016, in riferimento proprio all’esenzione dal ticket sanitario di cui all’art. 8, co.16, l. n. 537/1993 il Ministero ha esortato le Aziende Sanitarie a tenere conto dell’intervenuta modifica legislativa apparendo, ormai evidente che “ai fini dell’attribuzione di prestazioni di carattere sociale” rileva unicamente lo stato di non occupazione. Posizione, poi, ribadita dal medesimo Dicastero con nota prot. U 0010055 del 16/11/21, con cui ha precisato che: “la condizione di disoccupazione ha carattere generale e comprende sia coloro che hanno perso per qualsiasi causa un rapporto di lavoro subordinato o autonomo che coloro che non hanno mai intrapreso un’attività lavorativa, in quanto ciò che rileva è esclusivamente l’essere privi di impiego unitamente alla disponibilità allo svolgimento di una attività lavorativa”. Ha poi aggiunto che “Il non aver mai lavorato ossia l’essere inoccupato assume rilevanza in un momento successivo al riconoscimento dello stato di disoccupazione e cioè nel momento della profilazione e della costruzione da parte del servizio per l’impiego competente del percorso personalizzato di ricerca di un lavoro”.

Pertanto, il Consiglio di Stato ha concluso che, in base alla previsione recata dall’art. 19 d.lgs. n. 150/15, sia venuta meno la precedente distinzione tra “disoccupato” ed “inoccupato” anche ai fini delle prestazioni sociali, e che debba considerarsi “disoccupato” il soggetto privo di lavoro a prescindere dal fatto che abbia svolto o meno, precedentemente, attività lavorativa.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto, infine, che le potenziali conseguenze di questo indirizzo interpretativo in termini di aggravio di spesa per l’erario prospettate dal Ministero dell’economia e delle finanze “non possono inficiare la corretta applicazione della vigente normativa”.

Ne consegue che ora tutte le Regioni dovranno adeguarsi al parere e non potranno più operare distinzioni tra disoccupati e inoccupati per l’accesso all’esenzione del pagamento delle spese sanitarie.

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