I collaboratori domestici hanno diritto alla prestazione di disoccupazione
Secondo la recente sentenza CGUE del 24 febbraio 2022, causa C-389/20, la normativa spagnola che nega alla categoria dei collaboratori domestici, composta quasi esclusivamente da donne, l’indennità di disoccupazione si pone in contrasto con le due direttive sulla parità in materia di sicurezza sociale (nello specifico con l’art. 4, par. 1, della direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale nonché con gli artt. 5, lett b) e 9, par. 1, lett. e) e k), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego) in quanto realizza gli estremi di una discriminazione indiretta a svantaggio delle lavoratrici.
La questione parte da una vicenda che si è verificata in Spagna nel 2019, quando una collaboratrice domestica iscritta dal 2011 al sistema speciale di sicurezza sociale applicabile ai collaboratori domestici si è vista negare dalla TGSS (Tesoreria generale della sicurezza sociale spagnola) la domanda per il versamento di contributi per la tutela contro la disoccupazione, al fine di acquisire il diritto alle relative prestazioni.
Il diniego è stato motivato dalla TGSS sulla scorta del dettato dell’art. 251, lett. d), della LGSS che la escludeva dalla possibilità di versare contributi al sistema speciale per i collaboratori domestici al fine di ottenere una tutela contro la disoccupazione.
A quel punto la lavoratrice ha proposto ricorso dinanzi al Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 2 de Vigo (Tribunale amministrativo n. 2 di Vigo, Spagna) sostenendo, in sostanza, che il richiamato art. 251, lett, d), della LGSS comporta una discriminazione indiretta fondata sul sesso in materia di sicurezza sociale nei confronti dei collaboratori domestici di sesso femminile, che costituiscono la quasi totalità di tale gruppo di lavoratori. Infatti, sebbene i collaboratori domestici siano tutelati contro una situazione di inabilità temporanea, ove quest’ultima perduri, essi finiscono per perdere il loro impiego vuoi a seguito di un accordo, vuoi in conseguenza del recesso del datore di lavoro, senza essere tutelati contro la disoccupazione, a differenza degli altri lavoratori subordinati.
Poiché la situazione dei collaboratori domestici che hanno perso il loro impiego non è equiparata a quella dei lavoratori che beneficiano della sicurezza sociale, l’esclusione dalla tutela contro la disoccupazione implicherebbe altresì l’impossibilità, per tali collaboratori domestici, di accedere a qualsiasi altra prestazione o indennità subordinata all’estinzione del diritto alle prestazioni di disoccupazione.
Pertanto, la normativa spagnola porrebbe detti collaboratori domestici in una situazione di disagio sociale, che si tradurrebbe non solo, direttamente, nell’impossibilità di accedere alle prestazioni di disoccupazione, ma anche, indirettamente, nell’impossibilità di accedere agli altri aiuti sociali.
Il giudice del rinvio, investito della questione, ha condiviso i dubbi di compatibilità della richiamata disposizione nazionale con il diritto dell’Unione e, in assenza di una qualsivoglia motivazione esplicita al riguardo, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla CGUE le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 4, paragrafo 1, della [direttiva 79/7], che sancisce la parità di trattamento e vieta qualsiasi
discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso, in relazione all’obbligo di versare i contributi previdenziali, e l’articolo 5, lettera b), della [direttiva 2006/54], che prevede un identico divieto di discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso, quanto all’ambito di applicazione dei regimi sociali e alle condizioni di accesso agli stessi, nonché all’obbligo di versare i contributi e al calcolo dei medesimi, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione nazionale quale l’articolo 251, lettera d), della LGSS, ai sensi del quale “[l]a tutela concessa dal sistema speciale applicabile ai collaboratori domestici non comprende la tutela contro la disoccupazione”.
2) In caso di risposta affermativa alla questione precedente, se si debba ritenere che la menzionata disposizione legislativa costituisca un esempio di discriminazione vietata, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettere e) e/o k), della direttiva 2006/54, in quanto le destinatarie quasi esclusive della disposizione in questione, ossia l’articolo 251, lettera d), della LGSS sono donne».
Con la predetta sentenza, la CGUE rileva innanzitutto che una disposizione nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale non comporta una discriminazione direttamente fondata sul sesso, dal momento che essa si applica indistintamente ai lavoratori di sesso maschile e ai lavoratori di sesso femminile iscritti al sistema speciale per i collaboratori domestici. Tuttavia, la Corte rammenta che costituisce una discriminazione indiretta fondata sul sesso la situazione nella quale una disposizione apparentemente neutra ponga in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione sia oggettivamente giustificata e proporzionata.
Pur sottolineando che spetta al giudice spagnolo verificare se ciò è avvenuto nel caso di specie, la Corte fornisce al medesimo indicazioni a tal fine.
La Corte, infatti, osserva che, conformemente alla normativa spagnola, tutti i lavoratori subordinati soggetti al regime generale di sicurezza sociale, nel quale è integrato il sistema speciale applicabile ai collaboratori domestici, in linea di principio, hanno diritto alle prestazioni di disoccupazione.
In Spagna, la proporzione di uomini e di donne lavoratori subordinati sarebbe pressoché equivalente. Per contro, tale proporzione differirebbe notevolmente nel gruppo dei collaboratori domestici, poiché le donne rappresenterebbero più del 95% di tale gruppo. La proporzione dei lavoratori subordinati di sesso femminile colpiti dalla disparità di trattamento derivante dall’esclusione in questione sarebbe quindi significativamente più elevata di quella dei lavoratori subordinati di sesso maschile.
Tanto porrebbe in una situazione di particolare svantaggio i lavoratori di sesso femminile e comporterebbe, pertanto, una discriminazione indiretta fondata sul sesso contraria alla direttiva, a meno che essa risponda a un obiettivo legittimo di politica sociale e sia idonea e necessaria a conseguire detto obiettivo.
A quest’ultimo proposito nella decisione in commento viene mossa anche una critica di carattere più generale. Il Governo spagnolo, infatti, ha sostenuto che l’esclusione dei collaboratori domestici dalla tutela contro la disoccupazione è connessa alle specificità di tale settore professionale, tra le quali rientra lo status dei datori di lavoro su cui tale ulteriore contribuzione graverebbe. Datori di lavoro non professionali che, secondo questa visione, sarebbero disincentivati a procedere alle regolarizzazioni. Tale esclusione, pertanto, “risponde a obiettivi di salvaguardia dei livelli occupazionali e di lotta contro il lavoro illegale e la frode sociale”.
La Corte non nega che gli obiettivi citati siano legittimi dal punto di vista della politica sociale, ma ritiene che la normativa spagnola non sia idonea a conseguirli, perché presenta diverse difformità. In primo luogo, rileva la Corte, la categoria di lavoratori esclusa dalla tutela contro la disoccupazione non si distingue in modo pertinente da altre categorie di lavoratori che non lo sono e che rispondono alle stesse caratteristiche. Altre tipologie di lavoratori che prestano la propria attività a domicilio presso datori di lavoro non professionali, infatti, presentano rischi analoghi in termini di riduzione dei livelli occupazionali, di frode sociale e di ricorso al lavoro illegale, ma sono tutte coperte dalla tutela contro la disoccupazione.
In secondo luogo, la Corte aggiunge che l’iscrizione al sistema speciale per i collaboratori domestici dà diritto, in linea di principio, a tutte le prestazioni riconosciute dal regime generale di sicurezza sociale spagnolo, ad esclusione di quelle di disoccupazione. Detto sistema copre, segnatamente, i rischi relativi agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali. Sussisterebbe altresì un’incoerenza al riguardo, poiché tali altre prestazioni presenterebbero gli stessi rischi di frode sociale di quelle di disoccupazione.
Quindi per la CGUE la normativa spagnola risulta eccedere quanto necessario alla realizzazione dei richiamati obiettivi di salvaguardia dei livelli occupazionali e di lotta contro il lavoro illegale e la frode sociale.
L’esclusione dalla tutela contro la disoccupazione comporterebbe infatti l’impossibilità di ottenere altre prestazioni di sicurezza sociale alle quali i collaboratori domestici avrebbero diritto e la cui concessione è subordinata all’estinzione del diritto alle prestazioni di disoccupazione.
Tale esclusione comporterebbe, pertanto, una più significativa carenza di protezione sociale che si tradurrebbe in una situazione di disagio sociale.
Alla luce di quanto rilevato, la CGUE ha affermato il principio secondo cui: “L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale che esclude le prestazioni di disoccupazione dalle prestazioni di sicurezza sociale riconosciute ai collaboratori domestici da un regime legale di sicurezza sociale, qualora tale disposizione ponga in una situazione di particolare svantaggio i lavoratori di sesso femminile rispetto ai lavoratori di sesso maschile, e non sia giustificata da fattori oggettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso”.
Se questo è il principio enunciato dalla CGUE vediamo in Italia come vengono tutelati i lavoratori domestici contro la disoccupazione.
Quest’ultimi possono accedere alla NASpI in presenza di determinate condizioni introdotte dal d.lgs. n. 22/2015:
- La prima è che l’evento “disoccupazione” deve essere involontario. Oltre all’ipotesi del licenziamento, è possibile accedere al beneficio anche a seguito di dimissioni per giusta causa riconducibili al venir meno del vincolo fiduciario con il datore di lavoro (mancato pagamento della retribuzione o versamento della contribuzione, modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative, mobbing, ecc.). Possono inoltre accedere alla NASpI anche le lavoratrici madri durante il cosiddetto “periodo tutelato” e i lavoratori che si trovino in condizione di risoluzione consensuale avvenuta nell’ambito della procedura di conciliazione preventiva.
- Inoltre, devono essere stati versati contributi almeno per 13 settimane negli ultimi 4 anni. Sono valide a tal fine tutte le settimane retribuite, purché in tale periodo risulti corrisposta una retribuzione non inferiore ai minimali settimanali.
- Infine, è necessario aver lavorato 30 giornate di lavoro nei 12 mesi che precedono la cessazione involontaria del rapporto di lavoro.
Al riguardo, l’INPS con la circ. n.194 del 27/11/2015 ha fornito chiarimenti in merito alla modalità secondo cui rinvenire il requisito delle 30 giornate di lavoro effettivo per i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari.
Vista l’impossibilità di riscontrare l’effettiva presenza al lavoro in ciascuna giornata, ai fini della verifica della sussistenza del requisito in esame, è necessario ricorrere al sistema già in uso per l’accredito della contribuzione e per il pagamento di tutte le prestazioni relative ai lavoratori domestici, individuando in tal modo una metodologia che permetta di determinare – ancorché in via convenzionale – una presenza al lavoro assimilabile a trenta giornate effettive negli ultimi dodici mesi.
Si è ritenuto, perciò, di individuare la presenza al lavoro equivalente a 30 giornate effettive in 5 settimane di lavoro considerate convenzionalmente di 6 giorni ciascuna.
Pertanto, considerato che per l’accredito delle settimane si fa riferimento al trimestre solare e che per la copertura contributiva di una settimana sono necessarie 24 ore, al fine di individuare il numero di settimane accreditato nel trimestre medesimo si opera sommando tutte le ore di lavoro presenti nel trimestre e dividendo le stesse per 24. Ai fini della verifica del requisito in argomento si opera dunque calcolando, con la predetta metodologia, il numero di settimane lavorate in ciascun trimestre solare, sulla base dei versamenti contributivi effettuati dal datore di lavoro o dai datori di lavoro se il lavoratore aveva in essere più rapporti lavorativi
Ne consegue che, quando nei 12 mesi di osservazione per la ricerca del requisito delle 30 giornate di effettivo lavoro sono presenti – secondo le ordinarie modalità di accredito della contribuzione nella gestione lavoratori domestici sopra descritte – almeno 5 settimane di contributi, il requisito delle 30 giornate si intende soddisfatto.
Deve essere evidenziato che per gli eventi di disoccupazione successivi al 1° gennaio 2022, l’art.1, co. 221, lett.b) l. n. 234/2021 (Legge di Bilancio 2022), introducendo il comma 1-bis all’art- 3 del d.lgs. n. 22/2015, ha abolito il requisito delle 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi con la conseguenza che l’accesso alla prestazione è ora ammesso in presenza dei soli requisiti dello stato di disoccupazione involontario e delle 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.
La novità legislativa si pone in continuità con la disposizione di cui all’art. 16, co. 1, d.l. n. 41/2021, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 69/2021 (“decreto Sostegni”), che aveva disposto la non applicazione del requisito delle 30 giornate di lavoro effettivo negli ultimi 12 mesi precedenti il periodo di disoccupazione per gli eventi di disoccupazione verificatisi nell’arco temporale 1° gennaio 2021 – 31 dicembre 2021 (v. circ. INPS n. 2 del 4/1/2022).
Si può pertanto concludere che allo stato la normativa italiana, a differenza di quella spagnola, si pone in linea con il diritto eurounitario e con i principi enunciati da ultimo dalla CGUE nella sentenza analizzata. Ed anzi, all’indomani delle recenti novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2022, si allarga ulteriormente la platea dei lavoratori domestici che possono accedere alla NASpI, pur in presenza di rapporti di lavoro di breve durata, purchè venga rispettato il requisito contributivo (13 settimane di contributi negli ultimi 4 anni).