Combattere la violenza di genere nei luoghi di lavoro: il ruolo dei contratti collettivi
Chi studia le relazioni industriali sa bene come, negli anni, la contrattazione collettiva sia arrivata ad occuparsi di un sempre più ampio insieme di tematiche, con soluzioni volte non solo a garantire standard economici minimi per le lavoratrici e i lavoratori, ma anche ad accompagnare gli stessi nei propri percorsi di carriera e a promuoverne il benessere nei luoghi di lavoro. In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, celebratasi lo scorso 25 novembre, vale la pena di chiedersi se, tra queste misure, emergano anche specifiche tutele previste a livello contrattuale per le lavoratrici vittime di violenza di genere.
A fronte di questa domanda, alcune prime parziali risposte arrivano già se si guarda alla contrattazione nazionale, prendendo a riferimento i principali CCNL applicati nel nostro Paese. Al livello nazionale, le parti sociali hanno adottato scelte di portata differente, che vanno dalla semplice condivisione di impegni programmatici all’introduzione di soluzioni mirate, immediatamente applicabili, che incidono sull’organizzazione del lavoro nell’ambito delle aziende che ricadono nel campo di applicazione del contratto collettivo.
Sul primo fronte, ritroviamo ad esempio le previsioni del CCNL dell’industria chimica-farmaceutica, che fornisce specifiche linee guida per la contrattazione di secondo livello, affinché introduca iniziative “per promuovere nei luoghi di lavoro la cultura del rispetto della dignità della persona e per contrastare le violenze e le molestie di genere”. Così come, nella stessa ottica, operano le numerose intese che recepiscono, in sezioni ad hoc del testo contrattuale, i contenuti delle convenzioni internazionali dell’OIL, nonché dei protocolli sottoscritti dalle parti sociali a livello interconfederale sulla materia. Spiega bene questo approccio il CCNL industria tessile e moda, siglato da associazioni datoriali che aderiscono a Confindustria, in cui le parti si impegnano ad attuare iniziative che si ispirino alle indicazioni dell’Accordo Quadro sulle molestie e la violenza di genere nei luoghi di lavoro, siglato dalla stessa Confindustria e da Cgil, Cisl e Uil nel 2016.
Non mancano, tuttavia, anche i contratti nazionali che introducono direttamente, a livello nazionale, misure concrete direttamente esigibili dalle lavoratrici che risultino vittime di violenza di genere. Particolarmente significativo, in questo senso, è l’arco di previsioni introdotte nel rinnovo del 2021 del CCNL Industria Metalmeccanica, che ha dedicato un nuovo articolo – nello specifico il 12-bis della Sezione Quarta, Titolo IV – alle “misure per le donne vittime di violenza di genere”. Nel nuovo art. 12-bis ritroviamo, innanzitutto, una disposizione migliorativa rispetto a quanto già regolato dalla normativa nazionale in materia di congedo per le vittime di violenza di genere. Secondo quanto previsto dal CCNL, le lavoratrici inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere hanno diritto ad astenersi dal lavoro per motivi connessi a tale percorso per un periodo retribuito massimo di 6 mesi, ossia 3 mesi in più rispetto a quanto stabilito a livello normativo dal D. Lgs. n.80/2015. Nel concreto, ciò significa che, per i primi tre mesi, le lavoratrici avranno diritto al congedo ricevendo dall’INPS (con anticipo da parte del datore di lavoro) una indennità corrispondente all’ultima retribuzione, oltre alla contribuzione figurativa. Per gli ulteriori 3 mesi, invece, alla luce dell’innovazione introdotta dal CCNL, la retribuzione sarà a totale carico delle aziende. In aggiunta a questa prima misura, il CCNL dei metalmeccanici riconosce alcuni specifici diritti per le lavoratrici che rientrino in servizio dopo il periodo di congedo, quali la facoltà di richiedere il trasferimento ad altra sede (ove possibile) oppure la trasformazione del rapporto di lavoro in part-time, a prescindere dalla presenza di posti di lavoro a tempo parziale in organico. Inoltre, sempre a maggior tutela delle lavoratrici coinvolte, viene espressamente riconosciuto loro il diritto alla formazione continua, nei termini e con le modalità stabilite dal contratto collettivo.
Le soluzioni più interessanti sul tema, tuttavia, come già accade su altre materie, vanno ricercate nel secondo livello di contrattazione. È in questa sede, infatti, che le parti sono in grado di negoziare soluzioni più vicine alle esigenze della popolazione aziendale, con un maggiore grado di flessibilità rispetto alle condizioni standardizzate adottate a livello di settore.
Secondo quando riportato nell’ultimo rapporto Adapt sulla contrattazione collettiva in Italia(con risultati che sono stati poi approfonditi in questo recenteWorking Paper), tra i 434 contratti collettivi aziendali stipulati nel 2022 analizzati nell’ambito dell’indagine, nel 16% dei casi è stata prevista almeno una misura ad hoc per le lavoratrici vittime di violenza di genere, con condizioni di miglior favore rispetto alla disciplina nazionale. In numerosi casi, a livello aziendale le parti hanno esteso il periodo retribuito di astensione dal lavoro già stabilito dalla legge o dal CCNL, così come sono stati introdotti specifici regimi di flessibilità oraria, che agevolano la fruizione del part-time e delle modalità di lavoro agile o che prevedono la rimodulazione dell’orario di lavoro.
A queste prime forme organizzative, si sta poi gradualmente affiancando, in diversi contesti aziendali, la previsione di servizi ad hoc per supportare direttamente le lavoratrici vittime di violenza. Sotto questo aspetto, di particolare rilievo è il percorso avviato da Agos Ducato, società che opera nel settore del credito al consumo, che il 15 luglio 2022 ha stipulato con le rappresentanze sindacali aziendali una specifica intesa sul tema della violenza di genere. Nell’accordo in questione, le parti hanno infatti previsto, oltre alle più “tradizionali” misure di flessibilità organizzativa, un servizio di assistenza e consulenza legale per le dipendenti vittime di violenza che ne facciano richiesta, a carico dell’azienda fino ad un massimo di 10.000 euro, nonché la possibilità di richiedere il trasferimento presso un’unità produttiva distante almeno 50 km dal comune nel quale si sono verificate le forme di violenza. In questo caso, l’azienda si impegna ad erogare un supporto economico per l’alloggio (per massimo di tre anni, ricollegabili al percorso di protezione intrapreso) e a ricercare posizioni compatibili con il profilo professionale della richiedente.
Le pratiche di cui si è dato brevemente conto in questo articolo segnalano in maniera chiara, per quanto con sfumature differenti, come la contrattazione collettiva si stia lentamente facendo carico, nei diversi settori e ai vari livelli negoziali, della prime risposte da fornire a fronte di quella che risulta sempre di più una vera e propria emergenza (anche) nei luoghi di lavoro, come rilevato dall’ISTAT nel report Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro del 2018.
Le aziende e il mondo della rappresentanza iniziano quindi, finalmente, a giocare un ruolo attivo per un vero cambiamento “culturale” che possa partire dai singoli contesti aziendali e si estenda poi alla popolazione non lavorativa.