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La discriminazione indiretta nell’assegnazione degli alloggi pubblici

Giurisprudenza - Carmela Garofalo - 22 Ottobre 2020

 

Con ordinanza emessa il 29 settembre 2020 il Tribunale di Trento ha accolto il ricorso promosso dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e da un cittadino etiope nei confronti del Comune e della Provincia Autonoma di Trento per far accertare la natura discriminatoria del requisito della residenza decennale sul territorio nazionale previsto dagli artt. artt. 3, 2° comma bis e 5, 2° comma bis, l.p. n.15/2005 (entrambi introdotti dall’art. 38 l.p. n. 5/2019), per accedere rispettivamente alle graduatorie per l’assegnazione di alloggi pubblici e al contributo economico per il pagamento dei canoni.

Ad avviso dei ricorrenti il requisito della residenza in Italia per almeno dieci anni, mutuato dalla disciplina del reddito di cittadinanza espressamente richiamata dalla normativa provinciale, integra una discriminazione indiretta afferente al fattore protetto della nazionalità in quanto questa condizione è più facilmente conseguibile dai cittadini rispetto agli stranieri. Tale assunto viene dimostrato in termini precisi e concordanti attraverso alcuni dati statistici da cui si evince che il 25,9% del totale degli stranieri residenti in Italia è privo del requisito della residenza decennale. Sicché tali soggetti si trovano in una situazione di particolare svantaggio nel conseguire l’ammissibilità della domanda di assegnazione di un alloggio a canone sostenibile in locazione.

Viene inoltre rilevato che tale requisito si pone in contrasto con l’art.11 della Direttiva 2003/109/CE secondo cui il soggiornante di lungo periodo «gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda …le procedure per l’ottenimento dell’alloggio». La direttiva non prevede che gli Stati membri possano porre limiti a questa prescrizione paritaria, salva solo la possibilità di richiedere «la residenza abituale» nel territorio, che peraltro è già garantita dal permesso di lungo periodo.  Ne consegue che gli artt. 3, 2° comma bis e 5, 2° comma bis, l. p. n.15/2005 si pongono in contrasto con la disposizione eurounitaria sopra richiamata la quale, stante il suo contenuto incondizionato e sufficientemente preciso, può essere invocata da un singolo e applicata dal giudice, senza sollevare la questione di legittimità costituzionale.

Nelle 57 pagine di ordinanza, il Giudice di Trento ha aderito totalmente alle argomentazioni dei ricorrenti ordinando ai resistenti la disapplicazione immediata, con effetti retroattivi, della norma provinciale e la modifica del “Regolamento in materia di edilizia abitativa pubblica”. Nello specifico sono stati condannati: il Comune di Trento a riammettere all’interno della graduatoria sia il ricorrente sia tutti i richiedenti in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo, e a pagare 50 euro per ogni eventuale giorno di ritardo nell’applicazione della sentenza, mentre la Provincia a riaprire, in favore degli esclusi dal vincolo di residenza, i termini di presentazione delle domande per gli alloggi non ancora assegnati. Ad entrambi gli Enti è stato intimato di dare un’adeguata comunicazione della modifica del regolamento, mediante la pubblicazione della sentenza per una durata di tre mesi sulla home page dei propri siti istituzionali.

A ben vedere la decisione in esame si aggiunge all’ampio contenzioso che da più di un decennio vede la giurisprudenza costituzionale svolgere un ruolo centrale nel ribadire alcuni principi fondamentali relativi all’accesso degli stranieri ai diritti sociali ed in particolar modo alle prestazioni socio-assistenziali e al diritto all’abitazione.

La Corte Costituzionale, infatti, si è pronunciata ripetutamente, sia pur per profili diversi, sulla questione della legittimità del requisito della residenza protratta sul territorio nazionale e/o regionale per accedere ad alcune prestazioni sociali (sentenze nn. 168/2014, 106/2018; 107/2018, 166/2018, 44/2020). Si tratta di un requisito a cui sovente il legislatore fa riferimento talvolta esigendone il soddisfacimento solo da parte degli stranieri, altre volte estendendolo a tutti (cittadini e non); resta comunque evidente l’intento di sfavorire gli immigrati, che verosimilmente, come nel caso affrontato dal giudice di Trento, con più difficoltà possono aver maturato un determinato numero di anni di residenza.

Le conclusioni a cui è pervenuto il Tribunale di Trento dovrebbero essere oggetto di riflessione anche rispetto alle norme sul reddito di cittadinanza che prevedono, tra i requisiti per richiedere il sussidio, quello della residenza decennale nel territorio nazionale, anche in questo caso creando un’indebita discriminazione nei confronti dei cittadini extracomunitari e un odioso pregiudizio per l’accesso a misure che hanno l’obiettivo di rispondere ai bisogni minimi delle persone in difficoltà.

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Testo della decisione

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