Il diritto del lavoro alla prova del Coronavirus
Il DPCM del 8.3.2020, in virtù dell’art. 3 D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19” stabilisce che una delle modalità per contenere il contagio e la diffusione del c.d. corona virus, che da diverse settimane si sta diffondendo in Italia, è il lavoro c.d. “agile”.
L’esecuzione della prestazione in modo “smart” consente, infatti, al/alla dipendente, attraverso l’uso di strumenti tecnologici, quali ad esempio pc, smartphone o tablet, di lavorare all’esterno dei locali aziendali in assenza di precisi vincoli di luogo e di orario.
Il Governo ha quindi espressamente previsto che lo smart–working, disciplinato dalla l.n. 81/2017 agli artt. 18 e ss, possa essere attuato, in deroga a quanto previsto dalla normativa, per tutta la durata del periodo emergenziale, anche in assenza degli accordi richiesti tra datore e lavoratore/trice. Non viene, però, derogato né l’obbligo di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore o della lavoratrice né il rispetto dei principi generali della disciplina del lavoro agile, con la possibilità di fornire l’informativa di cui all’art. 22, l.n. 81/2017, in via telematica utilizzando la documentazione predisposta dall’INAIL.
Con l’utilizzo di tale nuova forma di lavoro, nel breve periodo il Governo intende ridurre al minimo le possibilità di contagio per i lavoratori/trici, ma la speranza, nel lungo periodo, è che questa modalità “smart” sia maggiormente utilizzata dalle figure datoriali, non solo in ottica emergenziale, ma per garantire un maggiore equilibrio tra la vita familiare e l’attività lavorativa, senza dover costringere il lavoratore o la lavoratrice (come accade tristemente nella maggior parte dei casi) a dover scegliere tra famiglia o lavoro.
Approfondimenti
DPDM sulle misure di contrasto alla diffusione del Coronavirus