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I limiti della libertà di pensiero

Giurisprudenza - Ilaria Colussi - 13 Marzo 2020

Libertà di manifestazione del pensiero come libertà assoluta? Un quesito su cui si interrogano da tempo operatori e teorici del diritto. Nell’era dei social network in cui ciascuno si sente legittimato a “mettere in piazza” la propria vita, il proprio io, i propri pensieri in ogni forma, nella convinzione che tutto sia permesso, appare particolarmente degna di riflessione l’ordinanza del Tribunale di Roma, sezione per i diritti della persona e immigrazione, pubblicata il 24 febbraio 2020 (iscritta al numero di R.G. 64894/2019).

Il caso: esponenti del partito Forza Nuova, attivi in rete e amministratori di diverse pagine Facebook, si sono visti chiudere le rispettive pagine e account. Hanno perciò chiamato in causa Facebook, ritenendo tale decisione lesiva della loro libertà di espressione e di pensiero.

Secondo il Tribunale, la condotta di Facebook è legittima. È interessante notare come il giudice abbia motivato la decisione alla luce di fonti normative sovranazionali e nazionali, nonché di precedenti giurisprudenziali. Numerosi sono gli esempi di pubblicazioni da parte dei ricorrenti che rappresentano una violazione del limite che la libertà di pensiero incontra nel rispetto dei diritti fondamentali, della dignità umana e della non discriminazione.

Si legge nell’ordinanza: «La libertà di manifestazione del pensiero non include, pertanto, discorsi ostili e discriminatori […]. Gli obblighi imposti dal diritto sovranazionale impongono di esercitare un controllo; obbligo imposto agli stati ed anche, entro certi limiti (come si è visto), ai social network come Facebook, che ha sottoscritto l’apposito Codice di condotta».
Il giudice insiste sul ruolo sociale ed educativo dei social network, che non possono pertanto esser usati come piattaforma per l’incitazione all’odio razziale.

La decisione prende in considerazione anche gli aspetti civilistico-contrattuali. In particolare, vengono analizzate le condizioni contrattuali di Facebook, come l’art. 3.2 delle Condizioni, rubricato “Elementi condivisibili e condotte autorizzate su Facebook”, che statuisce che “Facebook può rimuovere o bloccare i contenuti che violano le disposizioni di cui alle Condizioni, agli Standard della community e ad altre condizioni e normative applicabili all’uso di Facebook da parte dell’utente”, nonché gli Standard della Comunità. Dunque, non si si muove soltanto sul piano costituzionale della tutela dei diritti fondamentali. E ciò a conferma del fatto che il principio di non discriminazione e lo sforzo di bilanciamento tra diritti fondamentali può operare non solo a un livello “top down” a partire dalle fonti costituzionali, europee, internazionali, bensì anche a livello “bottom up” a partire dalle regole di condotta che i privati si autoimpongono.

 

Approfondimenti

Testo della decisione

 

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