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E’ incostituzionale la cancellazione della “madre intenzionale”

Attualità - Redazione - 22 Maggio 2025

 

Con la sentenza n. 68 del 2025 la Corte costituzionale interviene su un tema di grande rilievo costituzionale e sociale: il riconoscimento dello status di figlio anche in capo alla madre intenzionale nell’ambito della procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa praticata da coppie di donne. Un pronunciamento che segna una netta cesura con il passato e risponde a un persistente vuoto normativo, già evidenziato dalla stessa Corte nella sentenza n. 32/2021.

La vicenda trae origine da un giudizio promosso presso il Tribunale di Lucca, ove si discuteva della rettificazione di un atto di nascita contenente l’indicazione di due madri: una biologica e una intenzionale. Quest’ultima, pur non avendo partorito, aveva prestato consenso informato alla PMA praticata all’estero ed esercitava responsabilmente la funzione genitoriale. La Procura ha chiesto la cancellazione del nome della madre intenzionale, in forza dell’attuale disciplina (art. 8 legge n. 40/2004 e art. 250 c.c.), ritenuta ostativa. Il Tribunale ha quindi sollevato questione di legittimità costituzionale, evidenziando la disparità di trattamento e la lesione dei diritti fondamentali del minore.

La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 40/2004, nella parte in cui non consente al figlio nato in Italia da PMA eterologa praticata all’estero – con consenso di entrambe le donne – di essere riconosciuto anche dalla madre intenzionale.

Tale disciplina è stata ritenuta in contrasto con:

* **l’art. 2 Cost.**, per la lesione dell’identità personale del minore;
* **l’art. 3 Cost.**, per l’irragionevole disparità tra figli di coppie etero e omosessuali;
* **l’art. 30 Cost.**, per la negazione del diritto del minore ad essere mantenuto, educato e assistito da entrambi i genitori.

Con una decisione che risponde all’esigenza di tutela effettiva dei diritti fondamentali e si inserisce nel solco dell’affermazione dell’unicità dello status di figlio, della parità genitoriale e della centralità dell’interesse del minore, la Corte sottolinea che la genitorialità, in contesti di PMA, nasce non da un dato biologico, ma da un atto di volontà responsabile. Il consenso informato al trattamento procreativo rappresenta il titolo giuridico da cui discende la responsabilità genitoriale, in coerenza con l’evoluzione del concetto stesso di filiazione e con la centralità del superiore interesse del minore, sancito da fonti interne e sovranazionali.

Il riconoscimento posticipato attraverso l’adozione in casi particolari non può essere considerato equivalente: oltre a essere subordinato alla volontà dell’adulto, espone il minore a un’ingiustificata incertezza giuridica, priva di garanzie adeguate.

 

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