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9° Report di Save the Children “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2024”

Attualità - Carmela Garofalo, ricercatrice nell'Università di Bari - 28 Maggio 2024

9° Report di "Save the Children Le Equilibriste – La maternità in Italia 2024"

 

L’Italia non è ancora un Paese per madri.

E’ quanto emerge dal 9° Report di Save the Children Le Equilibriste – La maternità in Italia 2024 che conferma come ancora oggi, le italiane sono costrette a fare le “equilibriste” in un sistema dove le disparità di genere restano forti.

Se guardiamo ai dati del mercato del lavoro, emerge immediatamente il c.d. gender gap, cioè lo squilibrio tra uomini e donne nell’occupazione, nell’inattività, nei redditi da lavoro e, conseguentemente, in quelli pensionistici.

Nel 2023 il divario occupazionale tra donne e uomini è di circa il 20%, cioè quasi due volte superiore alla media europea (che è dell’11%) e, allo specchio, il tasso di inattività vede le donne al di sopra di circa 20 punti percentuali rispetto agli uomini.

Sebbene i tassi di inattività sbilanciati per genere siano una costante in tutte le economie europee, quelli italiani sono particolarmente ampi. L’onere della cura influisce sulle scelte occupazionali delle donne, ad esempio con le madri inattive che si prendono cura abitualmente dei figli nel 46,6% dei casi, rispetto al 14,1% dei padri nelle stesse condizioni lavorative, evidenziando un maggiore coinvolgimento nella gestione e nella cura dei figli delle donne inattive.

Questo conferma il caregiving come una delle principali ragioni dell’inattività femminile.

Sempre secondo gli ultimi dati  il tasso di occupazione delle 25-54enni è l’69% per le donne che vivono da sole, e il 60% per le madri (percentuale che diventa del 42% per cento per le madri del Mezzogiorno).

Quel che colpisce è che in Italia è particolarmente ampia la distanza tra il tasso di occupazione delle donne con figli e quello degli uomini con figli: 30 punti percentuali!

Incide anche su questi dati il maggior coinvolgimento delle donne in fenomeni di dimissioni volontarie.

Delle dimissioni convalidate nel 2023, il 72,8% riguardano madri di bambini da zero a tre anni e le motivazioni sono sempre le stesse: difficoltà di conciliare lavoro e famiglia data la carenza dei servizi di cura.

Parallelamente nel 2023 in Italia le nascite si confermano sotto le 400mila, con un calo del 3,6% rispetto al 2022. Il numero medio di figli per donna è ormai di 1,20. E  il nostro è anche il Paese europeo con l’età più alta delle donne al momento del primo figlio, 31,6 anni, mentre l’8,9 per cento delle primipare è over 40.

Avere un figlio condiziona pesantemente la possibilità di restare al lavoro.

Per aumentare l’occupazione femminile, anche quella di qualità, e incidere, al contempo, sulla crescita demografica sono indispensabili, servizi pubblici per l’infanzia, l’adolescenza e la non autosufficienza a costi sostenibili e diffusi su tutto il territorio nazionale per consentire sul serio e non solo a parole il c.d. work-life balance.

I servizi educativi per la prima infanzia (da 0 a 3 anni) rappresentano un presidio essenziale per i neogenitori e per le bambine e i bambini nei primi anni di vita, non solo come strumento di conciliazione, ma soprattutto come spazio di costruzione della relazione genitoriale.

Il nostro Paese con una copertura di asili nido del 28% è in netto ritardo se si considera la media UE del 37,9%.

Su quest’ultimo aspetto la Missione n.4 (specialmente la componente 1) del PNRR ha pianificato un «Piano asili nido», impegnando 3,24 miliardi di euro per la realizzazione di 150mila nuovi posti per i servizi di educazione e cura della prima infanzia (0-6 anni) entro giugno 2026.

Tuttavia i bandi dei fondi PNRR per costruire nuove strutture non hanno portato ad un’allocazione efficiente delle risorse, e non vi è coerenza tra Comuni che hanno vinto i bandi per costruire nuovi servizi. Inoltre l’aumento dei costi nel settore edilizio, le difficoltà dei Comuni a progettare ed aggiudicare i lavori – alla fine di giugno 2023 erano stati aggiudicati il 91% dei progetti presentati mentre il milestone richiedeva l’aggiudicazione del 100% – e la decisione della Commissione europea di escludere dal finanziamento PNRR i progetti che non ampliassero direttamente l’offerta di posti (ad es. la demolizione e ricostruzione di una struttura esistente) hanno comportato una riduzione dell’obiettivo iniziale: a fine novembre 2023, con l’approvazione della revisione al PNRR da parte della Commissione europea, l’obiettivo dei nuovi posti (0-6 anni) è stato tagliato (rimodulato) da 264 a 150 mila. Il Governo si è impegnato a trovare risorse alternative a quelle del PNRR ma solo per 100 mila posti.

Il 30 aprile 2024 il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha adottato un nuovo Piano Asili, con una dotazione di più di 700 milioni di euro, di cui più di 300 derivanti da economie del PNRR per rinunce, decadenze e definanziamenti. I posti da attivare identificati negli allegati al decreto risultano essere circa 63mila.

Al di là dei problemi emersi nella costruzione e offerta di nuovi servizi nelle aree più carenti, sarà comunque necessario uno sforzo di programmazione e investimento anche per formare e assumere migliaia di nuovi educatori.

Dal lato della domanda, se i servizi offerti non sono o non saranno accessibili anche alle famiglie svantaggiate, garantendo standard di qualità elevata, tempo pieno e flessibilità oraria, difficilmente i neogenitori cambieranno atteggiamento per iscrivere i piccoli al nido. Rimane quindi centrale trasformare i servizi educativi alla prima infanzia da servizi a domanda individuale a diritto soggettivo.

Ma l’obiettivo di portare la copertura dei nidi al 33% non può bastare.

È necessario garantire a tutti i bambini l’accesso ai servizi per l’infanzia ad un costo sostenibile. Negli asili comunali è difficile trovare un posto, e le rette degli asili privati sono molto salate, considerando il rapporto con i redditi medi: parliamo di una media di 640 euro, tranne a Milano che raggiunge gli 800 euro mensili.

Il secondo passo sarebbe quello degli orari di questi servizi che dovrebbero coprire un arco temporale molto esteso, dalla mattina presto al tardo pomeriggio, come in modo visionario aveva già ipotizzato la l. n. 53/2000, rimasta, per questi aspetti, sostanzialmente lettera morta.

Un altro passo sarebbe quello di prevedere centri estivi gratuiti o semi-gratuiti per tutti i ragazzi minori di 14 anni.

A tal proposito l’art. 42 del decreto lavoro (d.l. 48/2023) ha disposto l’istituzione di un Fondo con una dotazione pari a 60 milioni di euro per l’anno 2023, destinato al finanziamento delle iniziative adottate dai Comuni, anche in collaborazione con enti pubblici e privati, finalizzate al potenziamento dei centri estivi, dei servizi socioeducativi territoriali e dei centri con funzione educativa e ricreativa, in cui vengono svolte attività a favore dei minori.

Tuttavia, il Governo Meloni che nel 2023 ha rifinanziato la misura, nell’ultimo decreto Milleproroghe, ha bocciato un emendamento che confermava anche per il 2024 le risorse necessarie ai comuni per organizzare i centri estivi. Il risultato è che nel 2024 i Comuni si arrangeranno come potranno, se potranno. E i centri estivi avranno costi proibitivi per le famiglie. Costi che, spesso, per le madri lavoratrici, “non valgono la candela”: da un punto di vista strettamente economico, conviene loro stare a casa.

Questo è sempre il punto di rottura.

Infine, anche i servizi alle persone non autosufficienti, giovani e anziane sono carenti e comunque costosi. Un potenziamento dei servizi di prossimità e di supporto all’assistenza domiciliare, così da contribuire a ridurre l’onere delle attività di cura, fornite in famiglia prevalentemente dalle donne.

E anche in questo specifico ambito nella Missione n.6 del PNRR, dedicata alla «Salute», è previsto il rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto all’assistenza domiciliare, così da contribuire a ridurre l’onere delle attività di cura, fornite in famiglia prevalentemente dalle donne.

La legge di bilancio 2024 però non ha previsto stanziamenti per l’attuazione della Legge 33/2023, la legge delega per la riforma dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti approvata nel marzo 2023, riforma cardine della Missione 5 Componente 2 del PNRR che segnava un passo importante nella direzione di un sistema di welfare unitario e integrato, che potenzialmente interessa 3,8 milioni di anziani con disabilità di natura fisica e/o mentale secondo le stime ISTAT. Questa riforma che potrebbe veramente aiutare le madri lavoratrici che si prendono cura anche dei parenti anziani, con carichi spesso sbilanciati sulle donne, potrebbe alla fine rivelarsi un’occasione persa se non vi saranno finanziamenti consistenti per la sua piena attuazione (la coalizione del Patto per la non autosufficienza aveva stimato in 1,3 miliardi le risorse necessarie)

Con queste mosse si darebbe ai giovani – e in particolare alle donne – quel senso di sicurezza tale da poterli spingere alla scelta riproduttiva, sapendo di non dover rinunciare necessariamente alla realizzazione professionale e di poter contare sul serio sul Welfare.

La domanda allora sorge spontanea: ma la parità di genere è un miraggio lontano? Si vedrà mai la luce in fondo al tunnel?

È stato stimato che all’attuale ritmo di progresso, ci vorranno 131 anni per raggiungere la piena parità, 162 anni per colmare il divario nell’emancipazione politica, 169 anni per il divario nelle opportunità economiche, 16 anni per il divario di genere nel livello di istruzione.

È necessario, quindi, un cambio di rotta per scongiurare il rischio che le ingenti risorse investite vadano ad ampliare i divari di genere e generazionali, anziché colmarli.

Il decisore politico deve partire dalla presa di coscienza che per raggiungere la vera uguaglianza di genere e così rendere il sistema di welfare sostenibile anche per le future generazioni, è obbligatorio puntare sul fattore DONNA.

 

 

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