Benefici fiscali in modalità agile: valgono anche per lo smart working prestato in/dall’Italia, pur rimanendo dipendenti all’estero
La pandemia Sars Covid-19 non cessa di produrre effetti del tutto inattesi nel complesso prisma delle relazioni di lavoro.
Uno dei tasselli principali del puzzle continua ad essere il lavoro agile / smart working, nel fitto dialogo tra questioni giulavoristiche e fiscali. Dopo aver chiarito che, a determinate condizioni, il lavoro prestato da casa può essere oggetto di rimborsi da parte del datore a favore dei lavoratori smart, l’Agenzia delle Entrate, nella risposta a interpello 596/2021 pubblicata il 16 settembre 2021 estende i benefici fiscali per i lavoratori impatriati anche a chi trasferisca la propria residenza in Italia pur continuando a lavorare da remoto per conto di una società straniera.
Il caso è quello di un cittadino italiano che vive all’estero dal 2013 ed è attualmente impiegato presso una Azienda statunitense, con iscrizione all’Aire dal 2019.
Intenzionato a proseguire il rapporto di lavoro trasferendosi in Italia insieme alla propria famiglia e continuando a lavorare in smart working dall’Italia a favore della stessa società estera di cui è dipendente dal 2016, ha interrogato l’Agenzia delle Entrate per sapere se, lavorando in remoto dall’Italia trasferendovi la propria residenza fiscale, avrà comunque diritto a godere dell’agevolazione fiscale per i lavoratori impatriati, prevista dall’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 147/2015, specificando anche di avere nel proprio nucleo familiare una figlia minorenne. Altresì, il lavoratore ha fornito all’amministrazione finanziaria idonea documentazione sull’accordo di lavoro in remoto dall’Italia, volta a dimostrarne la durata minima di 24 mesi.
Come noto, si tratta di un regime di tassazione agevolata temporaneo, riconosciuto ai lavoratori che trasferiscono la residenza in Italia, a condizione che:
a) il lavoratore non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento;
b) si impegni a risiedervi per almeno due anni;
c) l’attività lavorativa sia svolta prevalentemente nel territorio italiano.
In conseguenza delle modifiche introdotte dall’articolo 5, comma 1, d.l. n. 34/2019 per favorire il c.d. rientro dei cervelli, per chi si trasferisce in Italia non è più richiesto che l’attività lavorativa sia svolta solo a favore di imprese operanti sul territorio italiano, prevedendosi che il regime agevolato, in presenza degli altri requisiti, spetti anche ai dipendenti dei datori di lavoro con sede all’estero o anche a lavoratori autonomi o imprenditori i cui committenti siano stranieri.
Per i contribuenti che si trovano in tali condizioni, nel periodo d’imposta in cui la residenza viene trasferita e nei successivi 4, il reddito di lavoro dipendente (o a esso assimilato) e di lavoro autonomo prodotto in Italia concorre alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% dell’ammontare ovvero al 10% se la residenza è presa in una delle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia. Altresì, i benefici si applicano per altri cinque periodi d’imposta ai lavoratori con almeno un figlio minorenne o a carico e a quelli che diventano proprietari di almeno un’unità immobiliare residenziale in Italia dopo il trasferimento o nei 12 mesi precedenti. Per il periodo di prolungamento, i redditi agevolati concorrono alla formazione dell’imponibile per il 50% del loro ammontare ovvero per il 10% in caso di lavoratori con almeno tre figli minorenni o a carico.
In primo luogo, l’Amministrazione finanziaria afferma dunque che, rispettate le condizioni summenzionate, nulla osta al riconoscimento del beneficio fiscale per chi si trovi nella situazione descritta: si materializza così, fiscalmente, il South Working e la rivitalizzazione delle Aree Interne del Paese, che tanto sta affascinando gli expatriates, e non solo.
L’Agenzia ha, inoltre, confermato che, in presenza di un figlio minorenne nel nucleo familiare del richiedente, l’agevolazione potrà avere una durata massima di 10 anni, di cui i primi 5 con riduzione dell’imponibile fiscale al 70% e i restanti 5 con lo sconto del 50% (art. 16, comma 3-bis, D.lgs. n. 147/2015 oggi vigente)
La portata di queste indicazioni, già in parte contenute nella circolare 17/E del 2017 delle Entrate, assume rilievo strategico nel mondo del lavoro che si sta ri-costituendo nella e oltre la pandemia, con inattesi fenomeni di rientro dei singoli lavoratori, capitale intellettuale fondamentale per rivitalizzare il contesto non solo lavorativo ma anche sociale, che si affianca al reshoring di numerose aziende. Davvero, il mondo del lavoro e della produzione si stanno riscrivendo in modo glocal, secondo traiettorie inimmaginabili solo pochi mesi fa.