Altruisti senza divisa: una riflessione sul (lavoro nel) volontariato, durante e oltre la pandemia
L’International Volunteer Day che si celebra il 5 dicembre costituisce un’occasione particolarmente adatta per formulare qualche considerazione sul ruolo della solidarietà sociale nell’attuale stagione pandemica.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ogni anno patrocina l’evento, ha sottolineato come le iniziative altruistiche della società civile abbiano accompagnato la gestione dell’emergenza in ogni sua fase, permettendo di garantire l’erogazione di servizi sanitari, sociali e assistenziali in un momento di crisi senza precedenti. Sono stati soprattutto i volontari a lenire le fragilità della rete di intervento pubblico messe a nudo dal Covid-19: durante questi mesi, la cittadinanza attiva si è rivelata un alleato indispensabile nella lotta contro il virus che, come una guerra, ha destrutturato diritti e limitato le libertà proprie degli ordinamenti democratici.
In Italia, il protagonismo del volontariato è sostenuto e promosso dal Codice del Terzo settore (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117), che ha reimpostato su una nuova base giuridica e culturale l’intera disciplina delle attività private svolte senza scopo di lucro e per fini di utilità sociale
La riforma ha fornito una nuova definizione di “volontario”, quale «persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un Ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà» (art. 17, comma 2).
L’aspetto qualificante della nuova definizione consiste nel riconoscimento legislativo di qualsiasi forma di impegno altruistico, anche se resa individualmente e non attraverso un’organizzazione di volontariato.
Si tratta di un importante salto di qualità rispetto all’impostazione precedentemente adottata dalla «legge quadro sul volontariato» (l. n. 11 agosto 1991, n. 266), che attribuiva rilevanza normativa alla sola solidarietà organizzata, richiedendo la presenza necessaria di un’associazione che veicolasse l’attività del volontario verso i beneficiari della sua opera.
Nel valorizzare anche il volontariato individuale, il Codice del Terzo settore ha colto le trasformazioni del fenomeno donativo, oggi caratterizzato da un nuovo modello in cui le tradizionali esperienze di associazionismo organizzato lasciano spazio all’impegno di soggetti che entrano direttamente in contatto diretto con i bisogni della società, donando il loro tempo e le loro energie senza il supporto di intermediari, proprio come accaduto in molti casi durante la pandemia.
La scienza sociologica ha classificato tale fenomeno come «volontariato post-moderno», coniando l’efficace immagine degli «altruisti senza divisa» che aiutano spontaneamente le persone in difficoltà e che sempre più spesso rifiutano vincoli di appartenenza organizzativa.
Il Codice del «Terzo settore» ha il merito di aver attribuito una specifica identità giuridica a queste nuove manifestazioni dell’impegno civile, incentivandone lo svolgimento a vario titolo (ad es. attraverso la certificazione delle competenze acquisite nello svolgimento dell’attività di volontariato o il riconoscimento di crediti formativi in ambito scolastico e lavorativo).
Tuttavia, esso è rimasto eccessivamente timido sul versante delle tutele che lo status di volontario richiede, perdendo l’occasione di riconoscere anche ai volontari alcune protezioni di base che dovrebbero attraversare tutte le prestazioni che hanno ad oggetto una prestazione di facere personale, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica all’interno di uno specifico tipo contrattuale.
In effetti, quando si parla di volontariato la questione centrale resta sempre quella di distinguere l’impegno sociale disinteressato da quello opportunistico, che spesso nasconde forme di sfruttamento lavorativo legate all’abuso dello schema della gratuità. Proprio perché priva di corrispettivo, la prestazione del volontario non è tecnicamente riconducibile ad un rapporto di lavoro, e ciò fa sì che dietro il volto umanitario del fenomeno solidaristico possano annidarsi forme di lavoro sotto-salariato organizzate da soggetti che poco hanno a che fare coi valori della solidarietà e del benessere collettivo.
Sotto questo profilo, è chiaro che la nuova disciplina sul volontariato sostiene e promuove la sola pratica del dono animata da una vocazione autenticamente altruista. Per questo motivo, il provvedimento dedica altrettante forze al contrasto della dimensione patologica dell’economia civile, cioè quella che utilizza lo schermo delle iniziative di cittadinanza attiva per approfittare dei bisogni delle classi più deboli.
Tra le molte previsioni indirizzate a tale scopo, ve ne è una che ha sempre fatto molto discutere.
Si tratta della regola storica che sancisce «l’incompatibilità della qualità di volontario con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria» (art. 17, comma 5, d.lgs. n. 117/2017).
Attraverso di essa si vuole blindare l’effettiva gratuità dell’impegno volontario, evitando che chi dichiara di operare soltanto per il bene altrui trovi un compenso indiretto mediante l’instaurazione con l’organizzazione di paralleli ed ulteriori rapporti di lavoro retribuito.
Sebbene ne sia chiara la funzione antielusiva, questa regola si è talvolta mostrata eccessivamente rigida, impedendo, insieme agli abusi, anche lo sviluppo di prassi genuine: il divieto di cumulo preclude a chi già lavora in un’organizzazione di volontariato e ne conosce bene gli ideali di dedicare una parte del proprio tempo libero per sostenere tali scopi parallelamente, in qualità di volontario. Ad esempio, chi è impiegato come autista della Croce Rossa non può fare volontariato nelle clownerie all’interno degli ospedali dove tale organizzazione opera.
L’inflessibilità di questo divieto ha rischiato di produrre effetti indesiderabili durante l’emergenza sanitaria, atteso che la ferrea incompatibilità tra la posizione di volontario e quella di lavoratore avrebbe impedito a molti lavoratori già occupati all’interno di un ente del Terzo settore di donare le proprie energie extra-lavorative per sostenere l’impegno di tali enti nell’aiuto dei più bisognosi.
Consapevole di ciò, il legislatore ha temporaneamente rimosso il regime di incompatibilità fra lo status di volontario e quello di lavoratore «per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, per il periodo della durata emergenziale» (cfr. art. 6, d.l. 9 marzo 2020, n. 14, conv. dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, cd. «decreto Cura Italia»).
La disposizione, immaginata per ai consentire ai soccorritori delle organizzazioni di volontariato di svolgere anche attività gratuita in favore degli enti datori di lavoro, ha però una portata applicativa più ampia: essa consente infatti, seppure temporaneamente, di prestare volontariato all’interno di un qualsiasi Ente del Terzo settore con il quale si intrattiene già un rapporto di lavoro, ovvero di essere assunti dall’Ente presso cui si prestava inizialmente attività di volontariato.
Occorrerà attendere l’esito di questa sperimentazione per capire se il regime delle incompatibilità verrà definitivamente allentato in nome della fiducia nella autenticità delle spinte solidaristiche, ovvero se continueranno a prevalere le ragioni di cautela contro le commistioni anfibie.
Quel che è certo è che, nella futura stagione di crisi occupazionale, il Terzo settore sarà chiamato a rivestire un ruolo fondamentale per rigenerare i legami fiduciari indispensabili per la riuscita delle politiche di sviluppo e la tutela delle classi più deboli.
*L’autore è Professore associato di Diritto del Lavoro nell’Università di Palermo.
Di recente ha pubblicato il volume Diritto del lavoro e Terzo settore. Occupazione e welfare partenariale dopo il d.lgs. n. 117/2017, Napoli, ESI, 2020.