BLOG

Parità di genere: approvato alla Camera il DDL che introduce la certificazione di parità. Eppur si muove!

Attualità - Anna Zilli - 18 Ottobre 2021

 

Il DDL approvato il 13 ottobre  scorso alla Camera traduce le previsioni del PNRR in tema di parità e pari opportunità, attraverso a) alcune modifiche al Codice delle pari opportunità adottato nel 2006 e b) adottando la certificazione di parità incentivata fiscalmente, nonché c) espandendo il perimetro delle quote c.d. di genere nei CdA delle società pubbliche non quotate.

Al primo gruppo di disposizione appartengono gli artt. 1 – 3.

In particolare, l’articolo 1 modifica l’articolo 20 del Codice pari opportunità, attribuendo alla Consigliera o al Consigliere nazionale di parità il compito di «redigere ogni due anni una relazione di monitoraggio sulla disparità di genere in ambito lavorativo». Qui la novità è il soggetto, non la relazione, che prima era compito del Ministro. L’assegnazione dell’attività alla /al Consigliera/e è assai opportuna, poichè certamente si tratta di un soggetto qualificato e di una struttura snella, che consente l’analisi dei dati.

L’articolo 2 modifica l’articolo 25 del Codice, aggiungendo tra le discriminazioni indirette (cioè quei comportamenti apparentemente neutri che possono mettere le donne in quanto tali in una posizione di svantaggio) «la modifica delle condizioni e dei tempi di lavoro che sfavoriscono in ragione del sesso e delle esigenze familiari». Anche qui la previsione va accolta con favore, purché si ricordi che spetta alla lavoratrice provare il fatto e al datore di lavoro dar conto della non – discriminatoria della decisione adottata. In sostanza, si rimette sempre alla parte debole e alla sua capacità / resistenza nell’affrontare un processo la scelta (certo, non libera) se avviare o meno una querelle giudiziaria.

L’art. 3 riscrive l’art. 46 del Codice, allineandolo finalmente alla direttiva già vigente, abbassando alla soglia di 50 dipendenti (oggi, 100) «la redazione di un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile». Sul punto, la speranza è che finalmente il rapporto diventi lo strumento (della /del Consigliera/e) per avviare azioni incisive di lotta alle discriminazioni nei luoghi di lavoro.

Al secondo filone va ricondotto l’art. 4, che, attraverso il nuovo 46-bis, introduce nel Codice Pari Opportunità la «certificazione della parità di genere», quale incentivo alla adozione di politiche aziendali volte alla riduzione e infine eliminazione del divario di genere. I parametri per ottenere la certificazione (operativa dal prossimo 1 gennaio 2022) saranno individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delegato per le pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dello sviluppo economico. In concreto, dovremo attenderli almeno sino alla fine dell’anno in corso, per poi valutarli nel merito.

Come noto, già esistono certificazioni etiche, la più famosa delle quali è  SA (Social Accountability) 8000 uno standard di riferimento riconosciuto a livello internazionale nato con l’obiettivo di garantire ottimali condizioni di lavoro: si tratta di un accreditamento efficace che consente alle organizzazioni che lo adottano la corretta gestione e il monitoraggio costante di  attività e processi  che impattano sulle tematiche inerenti le condizioni dei lavoratori (diritti umani, sviluppo, valorizzazione, formazione e crescita professionale delle persone, salute e sicurezza dei lavoratori, non discriminazione, lavoro dei minori e dei giovani) e che si estende anche a fornitori e subfornitori.

Il successivo art. 5 lega alla certificazione importanti benefici fiscali, che possono arrivare alla somma di 50 mila euro per le aziende che riescono a certificarsi.

Come già accennato in questo sito il PNRR si rivolge a chi è consapevole di un problema di genere nella propria realtà aziendale, mentre nulla fa per quei luoghi di lavoro in cui tale consapevolezza manca. L’incentivo non pare al momento dirimente per chi non sia già convinto del valore della parità: la somma messa a disposizione non pare al momento sufficiente a formare una “massa critica” di imprese, in grado di smuovere il mercato verso il superamento del divario di genere.

Altresì, si ritiene necessario che i soggetti coinvolti siano in grado di supportare il cambiamento di chi voglia intraprendere un percorso di lotta al gender gapconsulenti del lavoro, commercialisti, consulenti aziendali dovrebbero essere i primi a conoscere tecniche e strumenti per la parità di genere nel lavoro, che non significa semplicemente applicare lo stesso contratto collettivo a donne e uomini a parità di inquadramento, ma realizzare pari opportunità nelle assunzioni, carriere, trattamenti ad personam e benefits (quantomeno). Anche su questo punto, si dovrà lavorare moltissimo.

Da ultimo, si sostiene di nuovo il meccanismo delle quote c.d. di genere, che ci hanno fatto migliorare enormemente nelle classifiche e indagini sul gender pay gap.
L’articolo 6 dispone l’equilibrio di genere anche negli organi delle società pubbliche non quotate, in base al quale il genere meno rappresentato deve ottenere almeno due quinti degli amministratori eletti. Il meccanismo è l’estensione della previsione del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, sulla scorta del modello Golfo – Mosca del 2011, recentemente stabilizzato.

I prossimi passaggi sono l’esame delle varie commissioni al Senato e poi il voto. La scadenza del 1 gennaio 2022 è vicina ma non irraggiungibile.
Nel frattempo, continua il suo percorso la Proposta di direttiva volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne, che il 6 ottobre scorso ha chiuso la tappa dei commenti della società civile. Eppur si muove!

 

Potrebbe interessarti anche