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Eurobarometro: le discriminazioni secondo gli Europei

Diritti - Nicola Deleonardis - 18 Gennaio 2024

 

Uno studio della Commissione Europea, realizzato nell’ambito delle attività dell’Eurobarometro, esamina la posizione dei cittadini europei nei confronti delle discriminazioni.

Più della metà degli intervistati afferma che nel proprio paese esistono forme di discriminazione diffusa sulla base dell’appartenenza all’etnia rom (65%), del colore della pelle (61%), dell’origine etnica (60%). Circa un intervistato su cinque (21%) afferma di essersi sentito personalmente discriminato o di aver subito molestie negli ultimi 12 mesi.

Le forme di discriminazione o molestie più menzionate riguardano l’età, il sesso, le “opinioni politiche”, la “situazione socio-economica” e l'”aspetto fisico generale”; condotte lesive che si manifestano soprattutto negli spazi pubblici e sui luoghi di lavoro.

In questa classifica le forme di discriminazione basate sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale si collocano immediatamente dopo quelle fondate sul “colore della pelle” (rispettivamente al 57% e al 54%), a testimonianza di una percezione di diffusa insicurezza per le persone LGBT.

Dallo studio emergono profonde differenze a seconda del paese di residenza degli intervistati. In quattro paesi  (Grecia, Italia, Portogallo e Cipro), circa due terzi degli intervistati afferma che la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale sia diffusa. Al contrario, non più di un terzo lo afferma in Estonia e Slovacchia (entrambe 31%) e Lettonia (33%). Più della metà (57%) di tutti gli intervistati nell’UE ritiene che la discriminazione sulla base dell’identità di genere sia frequente nel proprio paese.

La convinzione di una persistente discriminazione sulla base dell’identità di genere è più alta tra gli intervistati in Italia (74%), nei Paesi Bassi (69%) e in Portogallo e Svezia (entrambi 68%).

Le analisi socio-demografiche dello studio, inoltre, mostrano alcune sfumature essenziali di cui si vuole dar conto.

Le donne sono un po’ più propense degli uomini ad affermare che la discriminazione sia diffusa nel proprio paese sulla base dell’orientamento sessuale (57% rispetto al 51%), dell’identità di genere (59% rispetto al 55%) e della intersessualità (48% rispetto al 46%).

Gli intervistati di età pari o superiore ai 55 anni sono i meno propensi a ritenere che la discriminazione nei confronti di questi gruppi sia diffusa. Ad esempio, solo il 49% delle persone di età pari o superiore a 55 anni ritiene che la discriminazione sia frequente nel proprio paese sulla base dell’identità di genere; percentuale che cresce nelle fasce d’età più giovani (60%-65%).

Passando ai livelli di istruzione, gli intervistati che hanno abbandonato l’istruzione dopo i 20 anni sono più propensi ad affermare che comportamenti discriminatori siano fortemente presenti nel proprio paese sulla base dell’identità di genere (60%), rispetto al 51% di coloro che hanno lasciato l’istruzione all’età di 15 anni, mentre si riduce la differenza in relazione alle percezioni di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale o della intersessualità.

Secondo lo studio, gli intervistati che dichiarano un orientamento politico progressista sono più propensi a ritenere che le discriminazioni siano diffuse nel proprio paese (66%), rispetto al 51% di coloro che si collocano tra i conservatori. Tale dato potrebbe essere letto in due modi. Secondo una prima ipotesi, potrebbe emergere una maggior propensione all’ “allarmismo” da parte degli intervistati con un orientamento politico progressista. In alternativa, il dato potrebbe indurre a ritenere come vi sia una maggior consapevolezza della diffusione delle discriminazioni tra tali elettori o, perlomeno, che essi abbiano una maggior sensibilità verso il tema.

Per quanto riguarda, invece, le discriminazioni nel lavoro, alla domanda relativa ai criteri idonei a mettere i candidati in una posizione di svantaggio nelle selezioni, gli intervistati hanno ritenuto particolarmente insidiose le domande circa l’età del candidato (52%) e il suo modo di vestire o di presentarsi (50%). Almeno un terzo cita l’atteggiamento fisico generale (44%), la disabilità (43%), l’essere Rom (42%), il colore della pelle (39%), l’accento (35%) e l’origine etnica (34%). L’identità di genere e l’orientamento sessuale si collocano nella parte bassa della graduatoria, rispettivamente con il 29% e il 24% delle risposte.

Tali dati si consolidano passando alle relazioni interpersonali sui luoghi di lavoro. La maggior parte si sentirebbe a proprio agio a lavorare con persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender o intersessuali. Circa il 75% degli intervistati in tutta l’UE non avrebbe difficolotà ad avere contatti quotidiani con un collega lesbica, gay o bisessuale. Le percentuali più elevate si registrano nei Paesi Bassi (98%), in Svezia (96%), in Irlanda (94%) e in Danimarca (93%), mentre l’Italia si colloca a metà della classifica, con il 71%. Quasi sette intervistati su dieci (69%) affermano che si sentirebbero a proprio agio nel contatto quotidiano con un collega transgender o intersessuale.

C’è una variazione molto significativa tra i paesi: almeno nove intervistati su dieci nei Paesi Bassi e in Svezia (entrambi al 95%) e in Danimarca e Spagna (entrambi al 90%) affermano di non riscontrare alcun disagio nelle relazioni con un collega transgender o intersessuale, mentre sono numerosi i paesi in cui è tale disagio diventa consistente. Anche in questo caso l’Italia si colloca nel mezzo con il 63%.

 

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