BLOG

Discriminatorio escludere dalla selezione le candidate gestanti

Giurisprudenza - Anna Piovesana - 4 Aprile 2022

 

Due assistenti di volo proponevano ricorso ex art. 38 d.lgs. 198/2006 avanti il Tribunale di Roma in funzione di Giudice del Lavoro, esponendo di avere presentato domanda di “adesione” alle procedure selettive per l’assunzione presso la nuova società pubblica di trasporto aereo e di non essere state selezionate. Secondo le ricorrenti, tale mancata selezione era da ricondursi esclusivamente fatto che le stesse, al momento della presentazione della domanda, si trovavano stato di gravidanza. A supporto di tale prospettazione, precisavano che anche le altre colleghe, impiegate presso la base di Fiumicino, che erano in gravidanza, non erano state chiamate dalla società e che la stessa situazione si era verificata in altri scali (es. Linate). Ritenendo di essere vittime di una discriminazione in ragione della gravidanza, le ricorrenti chiedevano al giudice di accertare e dichiarare il carattere discriminatorio della condotta attuata dalla società e la condanna della stessa al risarcimento del danno.

La compagnia aerea si costituiva in giudizio sostenendo la legittimità del proprio operato. Esponeva la società che, all’atto delle selezioni, non era a conoscenza dello stato di gravidanza delle candidate e che ciò escludeva, quindi, la discriminatorietà della propria condotta. Evidenziava poi che le lavoratrici, al momento della presentazione della loro candidatura, non erano in possesso delle necessarie abilitazioni per lavorare e questa era la reale ragione per cui non erano state selezionate. A conferma del carattere non discriminatorio del proprio operato, la compagnia aerea deduceva altresì di avere alle proprie dipendenze alcune lavoratrici madri che fruivano di congedi parentali.

Il Tribunale di Roma, nel decreto del 23.03.2022, ha precisato anzitutto che, ai fini del decidere, non rileva la circostanza che la società abbia alle proprie dipendenze personale che fruisce di congedi parentali, in quanto la questione che interessa il Giudice è specificamente riferita al processo di selezione che precede l’assunzione, non alle successive scelte gestionali che riguardano le lavoratrici già assunte. La controversia sottoposta al giudicante concerne l’operatività della tutela antidiscriminatoria in fase preassuntiva.

Considerato che l’art. 27 d.lgs. 198/2006, vieta ogni forma di discriminazione anche in fase di selezione del personale e alla luce delle pronunce in materia rese sia dalla Corte di Giustizia U.E. (significative sul punto CGCE 8.11.1990, causa C-177/88 Dekker e CGCE 3.02.2000, causa 207/98, Mahlburg) che dalla Corte di Cassazione (da ultimo Cass. 26.02.2021, n. 5476), il Tribunale conclude che la latitudine della tutela antidiscriminatoria comprende anche la fase di accesso al lavoro, non diversamente da quella successiva di svolgimento del rapporto di lavoro.

Con riferimento al merito della controversia, il Giudice ha evidenziato che, ai fini di causa, non è determinante il fatto che la resistente ignorava lo stato di gravidanza delle ricorrenti, posto che l’art. 40 d.lgs. 198/2006 non richiede la prova che chi ha posto in essere la condotta discriminatoria l’abbia fatto con un intento specifico in tal senso.

Quanto poi all’argomentazione della società, secondo cui le lavoratrici non sarebbero state selezionate esclusivamente perché prive delle necessarie autorizzazioni di legge per espletare l’attività lavorativa, il Giudice ha constatato che gli esiti dell’istruttoria avevano smentito tale prospettazione. Gli informatori avevano infatti confermato che le ricorrenti, al momento di presentazione della domanda, erano fornite sia di green pass che di certificazione di idoneità medico legale. Quello che era invece non scaduto, ma in scadenza, era il Recurrent Training (RT), cioè un’abilitazione per operare a bordo in qualità di membro di equipaggio di cabina che si ottiene con l’attestazione di frequenza ad un’attività di aggiornamento di uno o due giorni. Considerato che la società organizzava di regola periodicamente tali corsi e che ciò aveva fatto anche poco tempo prima per il personale neoassunto, le lavoratrici ben avrebbero potuto agevolmente aggiornare il proprio RT. Era quindi evidente che l’imminente scadenza di tale documento non poteva certo costituire il motivo fondante la mancata selezione delle stesse.

Alla luce delle allegazioni formulate dalle lavoratrici, sia rispetto alla propria condizione che a quella di altre sette candidate, il Giudice ha ritenuto che le ricorrenti avessero assolto al proprio onere probatorio che nello speciale “procedimento antidiscriminatorio” risulta attenuato, ex art. 40 d.lgs. 198/2006.

Considerato che le ricorrenti avevano fornito elementi precisi e concordanti sull’esistenza di una condotta discriminatoria in loro danno, incombeva sulla società provare l’inesistenza di detta discriminazione. Tale prova, secondo il Giudice, poteva essere agevolmente fornita dalla resistente documentando i nominativi delle lavoratrici in gravidanza assunte con le operazioni di reclutamento.

La società invece non aveva indicato, tra le 412 assunzioni di donne effettuare, quale era il numero delle lavoratrici in gravidanza e ciò, secondo il Giudice, confermava che, in realtà, non era stata assunta nessuna gestante.

Secondo il Tribunale, ad avvalorare tale conclusione soccorrevano anche alcune riflessioni di ordine statistico.

Secondo i dati pubblicati dall’ISTAT (consultabili nella sezione dedicata alla Piramide delle età) il rapporto tra popolazione femminile in età fertile e il numero delle nascite si è assestato, nell’ultimo biennio, intorno al valore 30 (ogni anno una nascita ogni 30 donne in età fertile). Sulla scorta di tale dato, il processo di reclutamento della compagnia aerea, conclusosi con l’assunzione di 412 donne, avrebbe dovuto ricomprendere una quota di 13,7 lavoratrici in gravidanza e, anche volendo ridurre la popolazione femminile fertile della metà, le assunzioni di donne in gravidanza avrebbero dovuto essere almeno 6 o 7.

Il fatto che la resistente non avesse proceduto ad alcuna assunzione, ad avviso del Giudice, confortava la prospettazione delle ricorrenti.

Il Tribunale di Roma, quindi, accertata la sussistenza del comportamento discriminatorio denunciato dalle lavoratrici, ha ordinato alla società di trasporto aereo di cessare il comportamento illegittimo e condannato la stessa a risarcire il danno.

Il decreto in commento risulta particolarmente interessante sotto due profili: in primis, laddove il Tribunale ha supportato il proprio convincimento con dati statistici di natura demografica, che hanno trovato ingresso nel processo, d’ufficio, su iniziativa dello stesso Giudice; in secondo luogo per le conclusioni raggiunte in punto di risarcimento del danno. Il Tribunale, infatti, ha riconosciuto alle lavoratrici un danno da perdita di chance che ha quantificato in 15 mensilità, prendendo come base di calcolo l’importo della retribuzione mensile delle candidate e moltiplicandolo per il numero di mesi intercorrenti tra l’inizio dell’astensione dal lavoro antecedente il parto e la fine del 7mo mese dopo il parto. Con tale quantificazione del danno, il Giudice ha inteso non solo ristorare il pregiudizio subito dalle lavoratrici, ma anche dissuadere la società dal porre in essere ulteriori comportamenti discriminatori. Come precisa lo stesso Tribunale, la condanna al pagamento di una somma quantificata in 15 mensilità “elide il vantaggio che la società ha inteso assicurarsi evitando l’assunzione di assistenti di volo in gravidanza, per le quali la presenza sul luogo di lavoro sarebbe stata sospesa per la durata del tempo a cui la condanna viene commisurata (ndr. 15 mesi)” (per una disamina sui parametri per il calcolo del danno da perdita di chance, L. D’Apollo, Perdita di chance: danno risarcibile, onus probandi e criteri di liquidazione).

 

 

donna